19 Novembre 2017 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Foglietto, Letture e Salmo

19 Novembre 2017 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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La parabola dei talenti parla della venuta di Gesù per il giudizio universale. Quando ritornerà, egli esigerà di sapere da noi come abbiamo usato il nostro tempo, cosa abbiamo fatto della nostra vita e dei talenti che abbiamo ricevuto, cioè delle nostre capacità. Il premio per il buon uso sarà la partecipazione alla gioia del Signore, cioè al banchetto eterno. La parabola racchiude un insegnamento fondamentale: Dio non misurerà né conterà i nostri acquisti, le nostre realizzazioni. Non ci chiederà se abbiamo compiuto delle prodezze ammirate dal mondo, perché ciò non dipende da noi, ma è in parte condizionato dai talenti che abbiamo ricevuto. Vengono tenute in conto soltanto la fedeltà, l’assiduità e la carità con le quali noi avremo fatto fronte ai nostri doveri, anche se i più umili e i più ordinari. Il terzo servitore, “malvagio e infingardo” ha una falsa immagine del padrone (di Dio). Il peggio è che non lo ama. La paura nei confronti del padrone l’ha paralizzato ed ha agito in modo maldestro, senza assumersi nessun rischio. Così ha sotterrato il suo talento. Dio si aspetta da noi una risposta gioiosa, un impegno che proviene dall’amore e dalla nostra prontezza ad assumere rischi e ad affrontare difficoltà. I talenti possono significare le capacità naturali, i doni e i carismi ricevuti dallo Spirito Santo, ma anche il Vangelo, la rivelazione, e la salvezza che Cristo ha trasmesso alla Chiesa. 
Tutti i credenti hanno il dovere di ritrasmettere questi doni, a parole e a fatti.

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del T.O. 19 Novembre 2017

XII cenacolo Rosminiano, studiosi da tutta Italia al Sacro Monte domese

La sala Bozzetti del Sacro Monte Calvario ospita studiosi di tutta Italia per il XII cenacolo Rosminiano organizzato dal centro di ricerca Rosmini Institute di Varese in collaborazione con il Centro studi Rosminiano di Stresa. I lavori saranno registrati e diffusi su Rosmini TV un canale web monotematico di filosofia dedicato al Beato Antonio Rosmini. Il cenacolo, che viene ospitato per il secondo anno al Sacro Monte Calvario, sarà aperto dal direttore di Rosmini Tv Massimo Andriolo seguiranno gli interventi degli studiosi Markus Krienke, Biagio Muscherà, Samuele Francesco Tadini, Massimo Lamonica, Matteo Zoppi, Luca Ferrara, Vincenzo Parisi, Margherita Giua, Stefania Zanardi. Domenica i lavori riprenderanno con gli interventi di Luca Vettorello, Marco Damonte, Fernando Bellelli, Alberto Pertoner, Cristian Vecchiet, Damiano Simoncelli. “ Il palinsesto della Tv è molto particolare perché dedicato ai “seguaci” delle idee di Rosmini, a chi semplicemente vuole approfondire oppure a tutti coloro che hanno deciso di studiarne la filosofia. Il nostro centro -ha spiegato il professor Massimo Andriolo- ha l'obiettivo di diffondere il pensiero di Rosmini. Lo vuole fare su piattaforme multimediali attraverso la web tv attraverso il sito Cattedra Rosmini.org e l'editoria cartacea. Il cenacolo mette in evidenza due aspetti in particolare del Beato Antonio Rosmini la filosofia politica con il tema “Consenso o conflitto, la società civile nel pensiero di Antonio Rosmini”, l'altro l'esistenza di Dio dal titolo “Nuove prospettive sull'argomento ontologico”.
ossola24.it

Aperto a Domodossola presso il Sacro Monte Calvario il XII Cenacolo Rosminiano

XII CENACOLO ROSMINIANO 18-19 Novembre 2017 CENTRO DI SPIRITUALITÀ ROSMINIANA Sacro Monte Calvario Domodossola (Vb)

Nel decimo anniversario della Beatificazione di Antonio Rosmini  avvenuta Domenica 18 novembre 2007 a Novara presieduta dal rappresentante del Santo Padre Benedetto XVI, il Cardinale Josè Seraiva Martins, si è aperto presso la Casa di Ospitalità Rosminiana Sacro Monte Calvario di Domodossola il XII Cenacolo Rosminiano.
Nel Blog Sacro Monte Calvario è visibile il Programma del Convegno Filosofico (>>> clicca qui)
Massimo Andriolo, Direttore della Rosmini TV ha aperto il Cenacolo annunciando il conferimento del codice internazionale ISSN conferito alla video-cattedra ( unici in Italia con l’istituto luce ad avere in codice ISSN per la pubblicazione di video) al Rosmini Institute che  ha inoltre ottenuto il riconoscimento del MIUR il 01/09/2016. Il  cenacolo ha oggi una natura editoriale: attraverso i videocorsi. 
Le attività editoriali del Rosmini institute sono organizzate in SEZIONI EDITORIALI con una loro autonoma responsabilità editoriale.
Ogni sezione ha un responsabile ed una redazione con un loro piano editoriale coordinate e dirette dall’editore della collana.
Il Santo Padre stesso diede la notizia della Beatificazione del Rosmini durante l’Angelus del 18 novembre.
La Beatificazione aveva concluso il lungo percorso che vide complesse e spesso dolorose vicende, sorte già durante la vita di Rosmini, con giudizi, interpretazioni positive e negative sul suo pensiero esposto nei suoi innumerevoli scritti, che originarono quella che fu chiamata la “Questione rosminiana”, proseguita anche dopo la sua morte, avvenuta il 1° luglio 1855, e che ha avuto termine con la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati, del 1° luglio 2001.
Antonio Rosmini nato a Rovereto il 24 marzo 1797 e morto a Stresa il 1° luglio 1855, Antonio Rosmini dedicò la sua vita a studi di filosofia, politica, ascetica, pedagogia. Compiuti gli studi giuridici e teologici presso l'Università di Padova, prese l'ordinazione sacerdotale nel 1821. Da subito dimostrò grande interesse e inclinazione per gli studi filosofici, incoraggiato in tal senso da Papa Pio VIII, che gli chiese di condurre gli uomini alla religione tramite la ragione, e più di una volta si schierò contro ingannevoli e fallaci movimenti di pensiero quali il sensismo e l'illuminismo.
Fondò l'Istituto della Carità e quello delle Suore della Provvidenza, pensati e voluti come ambienti propizi alla formazione umana, cristiana e religiosa di quanti ne avessero condiviso lo spirito, adattandosi alle contingenze storiche, civili e culturali del suo tempo. Paolo VI, in occasione dell'udienza del 12 gennaio 1972, lo definì "profeta" che in anticipo di un secolo sente e individua problemi dell'umanità e pastorali, sviluppati in futuro nel Concilio Vaticano II.
A tal proposito, il 18 novembre, oltre ad essere la data della sua beatificazione, rappresenta anche il giorno in cui il religioso della Val d'Ossola iniziò la stesura della sua opera più nota, "Le cinque piaghe della santa Chiesa", considerata precorritrice dei temi conciliari. Una di queste faceva molto soffrire Antonio Rosmini: la separazione tra fedeli e clero durante le funzioni liturgiche, per l'impossibilità dei primi di seguire le preghiere formulate in latino, avanzando la proposta di seguire le lingue proprie di ogni popolo. Per la novità di alcune sue idee sulla riforma della Chiesa, l'opera fu messa all'indice nel 1849 con tutte le polemiche che ne seguirono.
Solamente con Giovanni Paolo II avviene la completa riabilitazione della sua figura. Nella lettera enciclica "Fides et ratio", il predecessore di Benedetto XVI annovera Rosmini "tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio", concedendo l'introduzione della causa di beatificazione.
Precedentemente anche Giovanni XXIII, negli anni prossimi alla sua morte, fece il ritiro spirituale sulle rosminiane Massime di perfezione cristiana, ideate per definire il fondamento spirituale sul quale tutti i cristiani potessero garantirsi un cammino sulla perfezione, assumendole come propria regola di condotta.
Non indifferente al pensiero di Antonio Rosmini fu Paolo VI, come già detto: in occasione del 150° anniversario di fondazione dell'Istituto della Carità, inviò un messaggio all'allora padre generale, in cui elogiava l'intuizione rosminiana nel dare un grande peso alla missione caritativa già nel nome assegnato all'istituto. Il suo successore, Giovanni Paolo I, si laureò in sacra teologia all'Università Gregoriana di Roma con una tesi su "L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini".
La congregazione Istituto della Carità venne fondata nel 1828 presso il santuario del Monte Calvario a Domodossola, con approvazione pontificia di Gregorio XVI nel 1839. Formato da sacerdoti e laici con voti semplici e perpetui ma anche da religiosi e vescovi "ascritti", l'organismo nacque con finalità ben precise: l'esercizio della carità universale, unione di quelle forme che Rosmini ordina in "carità spirituale", "carità intellettuale" e carità temporale. Un ordine tuttavia suscettibile di cambiamenti a seconda delle esigenze espresse dal prossimo. Successivamente, nel 1832, vennero fondate le Suore della Provvidenza, il cui carisma non si differenzia dal ramo maschile.

a cura di Giuseppe Serrone
Turismo Culturale
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E se il pellegrinaggio fosse davvero una forma antica del «nuovo inizio»?


Caro Avvenire, 
alcune settimane fa ho partecipato a un pellegrinaggio di tre minuscoli paesi (Piovera – Grava – Alluvioni) nella pianura alessandrina, alla volta della Madonna della Guardia di Tortona. Presso il santuario della Cavallosa abbiamo cantato l’Ave Maria, che ha dato il senso al cammino, perché se è vero che il pellegrinaggio è camminare per il piacere di guadagnare una meta o gustare la natura e la magia dei suoi colori, è anche vero che il pellegrinaggio è sentirsi parte di una Compagnia grande, che “è” nella vita. E che incontri si fanno! F. gira il mondo per costruire case, capanne, pozzi, impianti... come volontario non di onlus o Ong ma a proprie spese; R., dirigente di una famosa marca di scarpe di alta moda; Ro., artigiano di oggetti preziosi di Valenza; c’era un sindaco, un’infermiera, una catechista, degli insegnanti... E mentre ci si conosceva e si avanzava nella strada, si dipanava l’evidenza di cosa è “il” pellegrinaggio: un Altro che cammina con noi, “Emmaus”! L’uomo medievale sapeva da dove veniva e dove andava e ha inventato il pellegrinaggio per ricordarselo! Oriana Fallaci ha scritto che l’uomo moderno negando Dio ha ucciso la parola “destino”. Ora negare che l’uomo abbia un destino è la più grande delle falsità! Il destino è una presenza che ci abbraccia ora, ogni giorno! Dopo 24.546 passi e circa 18 km siamo arrivati alla meta. Sono persuaso che se mai il «cambiamento d’epoca», di cui parla Papa Francesco, avverrà, si tratterà della riscoperta che Dio è amico dell’uomo e non un nemico, come troppo a lungo è stato nell’età moderna. I pellegrinaggi (che stanno nascendo numerosi) saranno una delle forme del nuovo inizio?

Pippo Emmolo
Alzarsi all’alba, recitare le Lodi, poi mettersi, con i compagni, in cammino. Questa lettera mi ha ricordato lo stupore provato percorrendo il Cammino inglese verso Santiago di Compostela. Credevo che si trattasse soltanto di camminare, di fare una fatica fisica, per aggiudicarsi una meta. Invece mi si è spalancato davanti un mondo. Quel levarsi prima del sorgere del sole e mettersi in strada alla luce delle torce: scoprendo, in aperta campagna, come i galli cantano, rochi, all’alba. Vedere il cielo che trascolora e da blu diventa rosa, mentre attorno il paesaggio, da oscuro, si fa sereno e domestico. (Scoprire per la prima volta che sollievo è, il levarsi del sole). E poi andare per strade e sentieri fangosi, dubitando sulla giusta direzione, fermandosi, domandando ai viandanti. Ottenendone, sempre, una benedizione in galiziano: «Che andiate con Dio!». Dio, già. Ha ragione il lettore, ogni pellegrinaggio è Emmaus, è un andare insieme, misteriosamente accompagnati. Cadenzando i passi lenti sulle parole del Rosario. Scorgendo, lungo la strada, cose che mai avresti notato passando in auto. Il verde delle prime foglie sulle siepi dei giardini, e certi fiori bianchi, candidi calici che spuntano, selvatici, purissimi, dal fango. Assaporando fin nel fondo dei polmoni il profumo della terra bagnata; assaggiando con la lingua le gocce fresche di una pioggia di acerba primavera. Perdersi poi, tornare indietro, cominciare a sentire i polpacci gonfi. Fermarsi per mangiare, nell’allegria che rende prelibato il pane col salame. Conoscere i tuoi compagni di viaggio: stupirti della varietà dei mestieri e delle vite che si sono incrociate, su questo stesso sentiero. Pregare, ancora, e ridere sotto a una pioggia che non vuole finire. Accamparsi la notte in un ostello, accucciarsi a dormire, così stanchi da non badare al freddo, e al pavimento duro. Con la sensazione interiore di non aver passato la giornata invano. Il lettore ha compiuto il suo pellegrinaggio nell’Alessandrino. «Dopo 24.546 passi e circa 18 km siamo arrivati alla meta», scrive. E ha ragione, un pellegrinaggio è qualcosa che ci ricorda da dove veniamo, e dove andiamo. È una forma che svela in trasparenza ciò cui realmente tendiamo. La fatica, somiglia a quella delle giornate lente, o dure. Ma c’è sempre, chiara, la certezza della meta – che invece, spesso, nei nostri giorni ci dimentichiamo. Quella certezza illumina e consola, anche quando si sbaglia strada, anche quando il fango sul sentiero è tanto che fatichi a procedere. E, i compagni? Scoprire in volti sconosciuti che la stessa domanda ci anima e ci spinge. Non sentirsi più soli. Che il pellegrinaggio, cammino del Medioevo, sia davvero la forma antica di un nuovo inizio? Noi uomini tecnologici, noi gente delle automobili turbo e degli aerei intercontinentali, scoprire che grazia è, per sentieri sperduti, semplicemente, umilmente camminare; con la letizia però di chi sa che va verso un destino buono, dove è atteso. 
da Avvenire