Sull'Appennino tra Umbria e Marche nasce il 'Manifesto del Cammino'

Il 3, 4 e 5 agosto il cuore dell’Appennino umbro-marchigiano, intorno al valico di Colfiorito, diventa la fantastica Terra di Mezzo grazie al 15mo Montelago Celtic Festival che quest'anno unisce le forze con il 7° Festival europeo della via Francigena collective project, in un evento che si terrà il 5 agosto alle 19.
Nel corso di un incontro/performance su 'Turismo nomade: dalla paura al cammino, alla bellezza appenninica', Sandro Polci, direttore del Festival Europeo della Via Francigena, proporrà la realizzazione condivisa del 'Manifesto del Cammino Avvenire'. Nel corso dell'incontro verrà realizzata una tela lunga oltre 100 metri in cui 1.000 piedi lasceranno l’impronta-assenso per il turismo viandante d’Appennino.
“Jean Giono, noto scrittore francese, scrisse -ricorda Polci- che 'il sole non è mai così bello quanto nel giorno che ci si mette in cammino'. Così noi camminiamo (e facciamo musica, cultura, teatro) come una 'Compagnia viandante' per un turismo nuovo dei nostri splendidi Appennini. Bruce Chatwin ricorda che 'la vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi' e noi lo proponiamo nei nostri luoghi del cuore e della mente”.
Inoltre, da novembre 2017 a marzo 2018 si realizzerà il progetto Epicentro attivato e voluto dal 'Montelago Celtic Festival' con l’intento di rivitalizzare culturalmente l’area appenninica del recente terremoto. Si tratta di un grande Festival contenitore che per tutta la stagione autunno/inverno 2017/2018 sarà itinerante nei comuni del cratere sismico e porterà artisti, musicisti e scrittori di fama nazionale che si sono dati disponibili ad esibizioni gratuite, a contatto con gli sfollati e le comunità disgregate.
Per pagare service audio/luci, Siae, stampa e diffusione promozionale, affitto generatori e tensostrutture, rimborsi spese, vitto e alloggio per gli artisti si è attivata una catena di donazioni di cui 'Montelago Celtic Festival' ne è portavoce e attivista.
Al progetto hanno aderito le attività imprenditoriali, le associazioni culturali e tutte le amministrazioni comunali dell’area del cratere poste a cavallo della zona appenninica delle regioni Umbria e Marche. Il territorio in questione comprende: in Umbria l’area montana che va da Assisi al valico di Colfiorito, la valle di Norcia e Cascia, la Valnerina e l’altopiano di Colfiorito; nelle Marche il sud dell’Alta Valle del Chienti fino a Caldarola, l’alta valle del Fiastrone e del Fiastrella fino a Sarnano, l’area montana che da Ascoli Piceno arriva ai confini regionali con l’Abruzzo, l’area dei Parchi Nazionali dei Monti Sibillini e del Gran Sasso- Monti della Laga.
Il progetto vuole valorizzare i tratti culturali e antropologici di un territorio avente fin dal passato forti elementi in comune come le attività economiche pastorali, agricole e di sfruttamento del bosco, e conseguentemente culturali (artistiche, folkloriche, gastronomiche, religiose) che hanno caratterizzato questi luoghi per secoli.
Gli indirizzi di sviluppo economico dell’ultimo dopoguerra hanno penalizzato le comunità montane creando una evidente emigrazione delle popolazioni verso le città e i poli industriali. E dopo lo spopolamento e quindi l’abbattimento dei servizi, si è verificato un quasi totale abbandono delle attività produttive legate alle risorse della montagna e a caduta si è avviata la fase dell’incuria territoriale. Solo nell’ultimo decennio si stava verificando un’inversione di tendenza.
La crisi del modello urbano-metropolitano e industriale stava facendo riemergere il potenziale dell’entroterra, che nel frattempo, complice anche l’abbandono subito che non ha incentivato un’espansione edile e industriale e uno sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, ha mantenuto quasi inalterate le qualità primarie che lo hanno sempre contraddistinto. Il progetto vuol ripartire dal potenziale insito nella bellezza stessa delle montagne, lavorando perché cultura e tradizioni di queste terre non siano lasciate morire ma possano essere la base di un futuro progresso, sano e responsabile.
adnkronos

“Convention sugli itinerari e cammini religiosi” per rilanciare il turismo


‘Convention sugli itinerari e cammini religiosi, culturali e del tempo libero’, è questo il nome dell’evento promosso a Foggia durante la conferenza stampa (sede della Provincia) per rilanciare il turismo della Capitanata in un territorio dalle “forti potenzialità inespresse”.
Hanno preso parte all’appuntamento Francesco Miglio, presidente della Provincia di Foggia;Costanzo Cascavilla, sindaco di San Giovanni Rotondo, Rocky Malatesta, consulente di PugliaPromozione, Pasquale Pazienza, delegato per la Puglia della SISTUR (Società Italiana di Scienze del Turismo) e Gaetano Cusenza, presidente dell’ACF (Associazione Comuni Foggiani).
Un nuovo modo di fare turismo può sicuramente rilanciare il nostro territorio – ha dichiarato il sindaco Cascavilla – ecco perché questo evento rappresenta una grande sfida e un’opportunità per l’intera Provincia di Foggia. E’ questa l’occasione giusta per creare una rete tra amministratori, operatori turistici, enti e associazioni da cui elaborare una piattaforma di sviluppo delle aree interne del Mezzogiorno da presentare al Governo centrale, che punti sui temi dei cammini, della mobilità lenta e dello sviluppo”.
Anche PugliaPromozione ha appoggiato l’evento perché come ha aggiunto Rochy Malatesta crede fortemente nella nascita di un vero sistema dei cammini nella Regione Puglia che possa raggruppare tutte le associazioni che da anni lavorano in questo settore, con il supporto dei Comuni e di tanti altri Enti locali”.
Evento clou della manifestazione, che si terrà a partire da domani fino al 29 luglio, sarà sicuramente l’incontro di Giovedì 27 a San Giovanni Rotondo, una giornata di studi, dibattiti e approfondimenti: a partire dalle 9.00 e fino alle 18.00, presso l’Auditorium “Maria Pyle”, coordinati dal giornalista di Rai Uno Franco Di Mare parteciperanno esperti del settore, autorevoli rappresentanti di diversi siti europei di interesse religioso come Wadowice, Czestochowa, Lourdes, Fatima, Loreto, Assisi e Pietrelcina, giornalistiblogger specializzati e tour operator provenienti da Russia, America, Germania, Bosnia, Ungheria, Croazia, Spagna e Irlanda.
I vari appuntamenti sono organizzati dal Comune di San Giovanni Rotondo in collaborazione con gli enti locali dei Monti Dauni, e finanziati da MiBACT, Regione Puglia e PugliaPromozione e godono del supporto, tra gli altri, della Provincia di FoggiaEnte Parco Nazionale del Gargano,Associazione Europea delle Vie FrancigeneAssociazione Comuni FoggianiSISTUR (Società Italiana di Scienze del Turismo) e Osservatorio nazionale sul Turismo religioso della CEI.
restoalsud.it

A Cracovia il I° congresso internazionale di turismo religioso

Si terrà dall’8 al 12 novembre a Cracovia il I° Congresso internazionale di turismo religioso e pellegrinaggi dal titolo “Seguendo le orme di Papa Giovanni Paolo II”. L’importanza socio - economico - culturale del progetto ha ricevuto il plauso delle autorità civili delle realtà che racchiude, meritando il patrocinio della città di Cracovia e della Regione di Malopolska, grazie al sostegno del sindaco Jacek Majchrowski e del maresciallo Jacek Krupa, a cui si aggiunge il contributo attivo di Sua Eminenza Cardinale Stanislaw Dziwisz.

La posizione geografico-strategica di Cracovia e Malopolska, al centro delle principali direttrici europee, sta giocando un ruolo fondamentale nel processo di crescita della regione. Ogni anno vi arrivano milioni di pellegrini e turisti interessati a visitare i luoghi legati alla cultura religiosa (si pensi all’evento di portata mondiale che si è svolto lo scorso anno nella città di Cracovia, la XXXI Gmg) e ciò rappresenta un'opportunità di sviluppo sia nel settore del turismo religioso sia a livello di economia nazionale. L’evento è organizzato da Ernest Miroslaw, titolare di Ernesto Travel, il tour operator che opera nell’ambito del turismo religioso della Polonia.

Dopo aver partecipato attivamente a diversi congressi e conferenze dedicati al tema Miroslaw e Dominika Krzych, co-ideatrice del progetto e collaboratrice di Ernesto Travel, hanno avvertito l’esigenza di creare un momento d’incontro per tutti gli specialisti del turismo religioso: agenti di viaggi, tour operator, contraenti, sacerdoti e altri organizzatori di viaggi a carattere religioso avranno la possibilità di incontrarsi, conoscersi, stringere contatti e apprezzare l'importanza che Cracovia e Malopolska rivestono come destinazioni del turismo religioso su scala mondiale, nella prospettiva più ampia di promuovere lo sviluppo di questa forma di turismo nel contesto dell’economia globale.

L'evento si pone come preludio alla conferenza dell'Unwto in programma a Cracovia il prossimo anno e dedicata al tema del turismo religioso.

 
guidaviaggi.it

INIZIATIVA Missione: Cei e Cimi, a Brescia dal 12 al 15 ottobre il primo Festival nazionale, grande evento di festa e incontri

Si svolgerà a Brescia dal 12 al 15 ottobre il primo Festival nazionale della Missione intitolato “Mission is possible”, organizzato dalla Conferenza degli istituti missionari italiani (Cimi), la Cei attraverso la Fondazione Missio; la diocesi di Brescia. Quattro giorni di eventi con conferenze, incontri, concerti, mostre, spettacoli di strada, momenti di riflessione in un clima di festa. Secondo suor Marta Pettenazzo, presidente della Cimi, il Festival può essere “uno strumento privilegiato per condividere il dono del Vangelo, che non può essere proclamato solo all’interno delle nostre chiese e comunità”. Sulla stessa linea don Michele Autuoro, direttore di Missio, che richiama il concetto di “Chiesa in uscita” caro a Papa Francesco: “Andiamo in città e nelle piazze perché la Chiesa non dimentichi che è nata in uscita”. E mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, ricorda che “la passione per l’annuncio del Regno di Dio ha animato la vita del beato Paolo VI, di san Daniele Comboni, della beata Irene Stefani e di tanti figli e figlie di questa terra”. “Il Festival – aggiunge il direttore artistico, il giornalista e scrittore Gerolamo Fazzini – vuole essere anche l’occasione per mettere in circolazione quanto è già stato realizzato in questi anni nel mondo missionario italiano, un mondo che vive indubbiamente una fase di difficoltà e di cambiamento ma che è ancora capace di esprimere numerose eccellenze in ambito culturale, nelle attività di animazione, nell’editoria, nel rapporto con i giovani”. Uno dei tratti distintivi del Festival sarà l’ospitalità diffusa in case religiose, oratori e famiglie secondo uno stile improntato all’essenzialità. Tra gli ospiti già confermati, i cardinali Tagle, Simoni e Filoni, padre Federico Lombardi, Alejandro Solalinde, Rosemary Nyirumbe, Blessing Okoedion,  Gael Giraud. Il programma e altre info su www.festivaldellamissione.it
sir

L’ospitalità monastica e religiosa



– Sorprende e, quasi commuove, quando si visita e sosta nei monasteri, l’ospitalità.
Nella seconda metà del IV secolo, il monaco Giovanni Cassiano, grande viaggiatore, fu uno dei primi a prendere contatto con i monaci del deserto in Egitto e a trasportare questa antica tradizione nella Gallia meridionale. Scriveva: «Siamo andati a visitare un vecchio che ci fece mangiare. Benché fossimo sazi, ci invitava a prendere ancora qualche cosa. Gli risposi che non volevo più niente. Allora mi disse: “Ho apparecchiato sei volte la tavola oggi per ricevere fratelli di passaggio. Ho mangiato io pure sei volte per incoraggiarli e ho ancora fame. E tu che hai mangiato solo una volta, sei talmente sazio che non puoi prendere più niente?”».
Questo aneddoto umoristico ci dice molto del comportamento dei primi monaci. Quella sorella o quel fratello incaricato oggi dell’accoglienza delle nostre abbazie avrebbe una carità così grande – e lo stomaco così solido – da osare la concorrenza con il vecchio citato da Cassiano? La generosità nell’accoglienza non fu soltanto un privilegio delle origini. Viene riportato che nel VI secolo, nei pressi di Betlemme, san Teodoro, il cenobiarca, costruttore di un grande monastero, aveva edificato tre ospizi e una locanda dove fino a «cento volte al giorno si apparecchiava la tavola».
Ci si può interrogare. Perché dei monaci, la più parte del tempo gelosamente caro alla loro solitudine e alla loro austerità, sono stati così sensibili all’accoglienza e così fedeli nel metterla in pratica? La risposta più breve e più illuminante la trovo in un altro apoftegma ,che mette in scena una grande figura del monachesimo egiziano: «Un fratello va a vedere l’abate Poemen durante la Quaresima. Dopo averlo consultato su questi pensieri, disse subito al vecchio: “Esitavo a venire in questo momento. Mi dicevo che durante la Quaresima tu vivevi forse come recluso”. Il vecchio gli rispose: “Non mi è mai stato insegnato a tenere chiusa una porta di legno, ma piuttosto la porta della mia lingua”» (L’Evangile du desert, 120).
Benché la vita monastica sia anteriore al cristianesimo di parecchi secoli, in particolare nell’induismo e nel buddhismo, il monaco cristiano ha come riferimento assoluto la parola di Dio. Volendo essere fedele a Gesù Cristo, suo Signore, il monaco sa che l’ascesi e le regole più fondamentali devono essere sottomesse alla regola suprema della carità, di cui l’accoglienza dell’altro – fratello, straniero, malato – è una delle prove più irrefutabili: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato (…). Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,40).
Di certo, resta sempre in primo piano nella coscienza del monaco la descrizione profetica del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).
Per il fatto che frequenta assiduamente le sante Scritture, il monaco sa – anche nella solitudine più estrema – che non si può separare l’amore di Dio dall’amore dell’uomo, l’ accoglienza di Dio dall’accoglienza dell’uomo. Insegnamento meravigliosamente espresso dall’abate Apollon, un vecchio del deserto egiziano, il quale diceva che bisogna inchinarsi davanti ai fratelli che arrivano, perché non è davanti a loro ma davanti a Dio che noi dobbiamo inginocchiarci: «Quando tu vedi tuo fratello, tu vedi il Signore tuo Dio. Lo abbiamo imparato da Abramo. E quando voi accogliete i fratelli, invitateli a prendere riposo. È quanto impariamo da Lot, che invita degli angeli».
Interessante notare che a fondamento di questa ospitalità che si deve a ogni uomo, come a Dio stesso, la sentenza fa riferimento non al Vangelo, ma all’Antico Testamento con due episodi celebri di ospitalità: l’episodio delle Querce di Mamre (Gen 18), dove Abramo, vedendo davanti a lui tre misteriosi personaggi, si prostra, lava i loro piedi e li ristora con quanto di migliore ha; e l’episodio di Sodoma (Gen 19), dove Lot, aprendo la porta della sua casa a stranieri, lo strappa dalla furia della folla. Nei due casi il racconto biblico ci rivela l’identità di coloro che erano stati in tal modo accolti: Dio stesso a Mamre; i due messaggeri (angeli) di Dio a Sodoma.
Ma è un passaggio del Nuovo Testamento che ci offre, in conclusione, la morale della storia: «Non dimenticate l’ospitalità perché è grazie ad essa che certuni senza saperlo hanno accolto degli angeli (Eb 13,1).
– Che cosa dice al riguardo la Regola di san Benedetto?
San Benedetto concorda pienamente con la tradizione anteriore e resta fedele allo stesso spirito. Ma la suaRegola, come in molti altri ambiti, manifesta chiaramente accenti che sono propri e testimoniano il suo senso profondamente evangelico.
È al capitolo 53 della sua Regola sull’accoglienza degli ospiti, come al capitolo 66 sui portinai del monastero, che egli ci dà il suo insegnamento sull’accoglienza. Per noi cistercensi, che fin dalle origini lo abbiamo come riferimento esplicito – è il testo della Regola di Benedetto che fonda e ispira la nostra pratica dell’ospitalità. Mi parrebbe importante sottolineare alcune note essenziali date da questa Regola; note che, per il loro valore permanente e universale, restano per noi sempre attuali.
– Può indicarcele?
La prima è questa: il monastero, casa di Dio per gli uomini. «Gli ospiti non mancano mai nel monastero e sopraggiungono a ogni ora» (Regola 53). Questa affermazione, che si crederebbe scritta oggi, ha quindici secoli. Esprime, infatti, una delle realtà più profonde del ruolo del monastero, qualunque sia l’epoca.
Attenendoci alla definizione di un dizionario, il monastero è il luogo di abitazione di un gruppo di monaci o di monache. Ma tale definizione è riduttiva, perché tiene conto solo della destinazione sociale degli edifici. San Benedetto considera invece il monastero da un altro punto di vista, secondo una visione di fede che modifica considerevolmente la prospettiva. Per lui il monastero è «casa di Dio», e quindi luogo di ospitalità per chiunque vi si presenti, soprattutto il povero e lo straniero.
– Che cosa fonda questa visione in san Benedetto?
La Regola ci dà la risposta: «L’abate e la comunità intera laveranno i piedi di tutti gli ospiti e dopo il saluto si dirà il versetto: “Dio, abbiamo ricevuto il tuo amore in mezzo al tuo tempio”» (Regola 53,13). Ciò significa che ogni comunità monastica non è «per se stessa» nel monastero, ma per Dio. Il monastero è la casa di Dio. La comunità che vi abita non può farne una sua proprietà privata. La comunità vive nel monastero per assicurare la gestione in nome di Dio e offrire a chiunque passi ciò che essa stessa ha ricevuto: non per sé solo, ma per gli altri.
Il monastero è chiamato dunque a essere prefigurazione del mondo nuovo che il Cristo è venuto a instaurare. La missione di ogni comunità monastica è quella di offrire uno spazio di comunione, un luogo di riconciliazione; di rendere già visibile il regno di Dio, in cui non ci saranno lotte fratricide né esclusioni. Il monaco, poiché non accoglie a suo nome, ma in nome di Dio, dovrebbe – con i suoi atteggiamenti, le sue parole, il suo sguardo – far percepire la presenza del Cristo.
San Benedetto apre il capitolo 53 della Regola con un’ingiunzione molto forte: «Tutti gli ospiti che arrivano al monastero saranno ricevuti come il Cristo, perché dirà un giorno: “Sono stato vostro ospite e voi mi avete accolto”». Troviamo qui un riferimento esplicito alla scena del giudizio finale tratteggiata in Matteo, al capitolo 25. Un riferimento che è molto caro a tutta la tradizione anteriore.
Questo percorso di fede, che permette di identificare l’ospite con Cristo, è molto profondo in san Benedetto e si trova a essere del tutto in accordo con la sentenza dell’abate Apollon, perché Benedetto giunge a dire: «Si testimonierà a tutti gli ospiti un grandissimo rispetto. Con l’inchino della testa o anche con una prostrazione di tutto il corpo si adorerà in loro il Cristo che si riceve» (Regola 53).
– Quanto detto è vissuto oggi nei vostri monasteri? Come va intesa l’ospitalità ai nostri tempi?
Oggi, l’afflusso dei visitatori e degli ospiti è forte in tutti i monasteri. Un tempo terra di asilo per le persone erranti, o sosta per ritemprare il pellegrino, il monastero è divenuto ai nostri giorni luogo di ritorno alla fonte per chi cerca Dio o per colui che aspira a un riposo del cuore. Il tipo di domanda cambia, la vocazione all’accoglienza dei monaci rimane e si sviluppa.
In un mondo in costante cambiamento, alle prese con tensioni e ritmi estenuanti, oggi più che mai il monastero deve esercitare la sua vocazione di essere un luogo di pace e riconciliazione. Ogni persona, qualunque siano le sue origini, le sue convinzioni filosofiche, religiose o politiche, deve sentirsi accolta in tutta libertà e discrezione. Per questo, cristiani di confessioni diverse, ma anche persone di altre religioni, possono incontrarsi e confrontarsi nel rispetto delle loro differenze.
La testimonianza di una comunità permanente di accoglienza e di preghiera può essere uno stimolo prezioso per le persone che condividono il meglio di ciò che la stessa comunità può offrire con il suo silenzio, la sua liturgia, la sua pace. Ma la comunità che accoglie riceve anch’essa dall’ospitalità più di quello che offre. A contatto con le persone che accoglie, e che spesso si attendono molto da essa sul piano spirituale, la comunità monastica prende coscienza delle esigenze del suo compito e delle sue responsabilità nella vita della Chiesa.
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